Per il
mio compleanno ho preso un giorno di ferie, classico da un po’ d’anni a questa
parte, piccolo lusso che finché potrò non vorrò più farmi mancare, e
preventivando tre ore buone sono andata a Palazzo Strozzi. La mostra sui
pittori americani a Firenze: il fascino che la nostra città e l’Italia
esercitavano sugli americani. La cultura italiana che volevano assorbire e le
contaminazioni americane che ci portarono, col loro modo di vivere, le loro
idee, l’emancipazione femminile. In genere preferisco i paesaggi, ma devo
ammettere che i ritratti esposti non lasciavano delusi. Impossibile non
rimanere conquistati dal ritratto di Vernon Lee, dipinto dal suo amico Sargent,
o il quadro di Mary Cassatt nel quale è palpabile l’affetto che la pittrice
prova per il fratello e il nipote ritratti. Fra i dipinti che mi hanno colpito
c’è stato anche l’autoritratto di John Singer Sargent: dal punto in cui lo
avevano collocato, sembrava lanciare sguardi al “ritratto di Ambrogio Raffele”,
suo compagno di escursioni montane, nella stanza seguente. Quando poi inizi a
visitare la mostra, vieni subito abbagliato dal dipinto “la camera d’albergo”:
una luce vibrante, estiva, filtra dalle persiane e ti lascia abbacinata,
incantata ad ammirare l’abilità e la maestria di Sargent, così come ti
conquista l’intima semplicità di Tarbell col suo dipinto “la stanza della
colazione”, o la pensosità di Frederick Childe Hassam “la finestra a est”, l’eleganza
di Mabel Hooper, o “la cucitrice” di Joseph DeCamp che richiama alla mente i
dipinti fiamminghi. La luce pervade le sale, esplode dai dipinti. Mi sono
seduta ad ammirare “buoi al riposo” (Sargent) e “cortile italiano” di Frank
Duveneck: si percepiva chiaramente la luce violenta, il sole abbacinante, la
spossatezza dell’uomo appoggiato ai buoi, fiaccato dal sole estivo italiano. Le
foto di Ernestine Fabbri e le tele di Telemaco Signorini arricchiscono la
mostra, e la completano con una grazia speciale.
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