In alta montagna, in un ambiente inadeguato a una guerra di trincea, i soldati del plotone al comando del tenente Alfani sono dislocati sul forte del Corbin, prossimi alla porta dell’inferno. Provengono da tutte le parti d’Italia e parlano dialetti così diversi da creare una caotica polifonia; per la maggior parte sono soldati improvvisati, che il protrarsi della belligeranza ha corroso e indebolito. In loro avviene una sorta di osmosi tra paura e rassegnazione divenuta ormai indissolubile. La pièce è ispirata al racconto scritto da Federico De Roberto nel 1921, in cui l'italiano si mescola a tutti i dialetti della penisola, anche in un modo duro e caotico. L'autore, pur non avendo preso parte alla Grande Guerra, fu in grado di raccontarla con realismo, sottolineando le ferite interiori causate ai soldati ben oltre le immense carneficine della trincea. La paura di cui ci parla De Roberto è una delle tante che tessono la memoria del primo conflitto mondiale. Una storia che non vuole essere univoca, ma solo una delle tante trame possibili scritte per gli stessi personaggi. Perché interpretare la guerra non equivale mai a viverla.
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