“Il filo della speranza”, di
Guia Risari – Ed. Settenove
Vita è la voce narrante di
questo nuovo romanzo di Guia Risari. Nel periodo dell’isolamento dovuto al
Covid, la sua mente torna al passato, ai ricordi di giovane sposa felice e
abile ricamatrice. Decide così di scrivere una lettera alla nipote che vive
lontana, per lasciarle una sorta di testamento spirituale: rendere luce ai
ricordi, regalarle la sintesi della sua vita, i valori in cui ha creduto e per
i quali ha combattuto.
Dei flashback ci trasportano
quindi alla fine degli anni Sessanta, in Sicilia. Vita è una giovane ragazza
seria, che rispetta le tradizioni e si sposa con Lele, un uomo curioso e intelligente,
immune da pregiudizi. Dopo il matrimonio, Vita decide di mettere a frutto
l’arte del ricamo, che ha imparato fin da piccola, per aumentare le entrate
della giovane famiglia. Si mette quindi a preparare un campionario da mostrare
ai clienti. Ma inserirsi in quel mercato non è semplice, perché i clienti
vogliono lavori raffinati, ma non sono disposti a pagarli a un prezzo adeguato
e sul lavoro di Vita, come su quello di tante altre ricamatrici, si allunga
l’ombra dei mediatori, uomini senza scrupoli che pagano una miseria e rivendono
a misteriosi compratori.
Vita, spronata da Lele,
capisce allora che deve mettersi in contatto con le altre ricamatrici, fare
fronte comune. È così che conosce, fra le altre, Filippa, donna energica e
combattiva e nasce la Lega delle ricamatrici: donne coraggiose che sono decise
a non farsi sfruttare.
La loro tenacia porterà
frutti: nel 1973 venne approvata in Parlamento la legge numero 877 sul lavoro
dipendente a domicilio, che stabiliva orari di lavoro, una paga oraria equa e
un obbligo di trasparenza nelle transazioni.
La Lega delle ricamatrici
fonderà successivamente la Cooperativa “La rosa rossa”. Purtroppo il loro
lavoro non darà i frutti che si sarebbero meritate, anche se le ricamatrici si aggrapperanno
al loro sogno, con la certezza, comunque, di aver difeso la loro dignità.
Le battaglie di ieri tornano
ad essere le battaglie di oggi: a Elche per esempio, in Spagna, un gruppo di
cucitrici vengono pagate una miseria e lavorano da casa senza contratto: sono
le aparadoras, che ai tempi del Covid hanno deciso di produrre mascherine e,
invece di cucire scarpe di marche prestigiose, regalano il loro lavoro per una
giusta causa.
Leggendo questo libro mi è
tornata in mente la filantropa americana Romeyne Robert, che fondò la scuola di
ricami Ranieri di Sorbello per aiutare le donne più svantaggiate ad emanciparsi,
o Carolina Amari e la sua Cooperativa Industrie Femminili Italiane, nata per
promuovere e migliorare le condizioni delle lavoratrici, eliminando gli
intermediari che sfruttavano il lavoro delle donne. Ma questi mirabili esempi
di promozione sociale, riflettevo, nascevano dalla filantropia di donne nobili
e borghesi. L’esempio della Rosa Rossa è ancora più potente e commovente:
perché nasce da donne del popolo che, oltre alla loro abilità, potevano mettere
in campo solo la loro solidarietà e il loro coraggio.
Un libro per riflettere,
dunque, anche sugli obiettivi dell’agenda 2030. Mi riferisco in particolare
all’obiettivo sul lavoro dignitoso e la crescita economica. L’Organizzazione
Internazionale del Lavoro ha stabilito che un lavoro è dignitoso quando: viene
pagato in modo giusto, non mette a rischio la vita del lavoratore, è regolato
da un contratto che tutela il lavoratore, lascia al lavoratore il tempo per il
riposo e gli permette di migliorare negli anni.
Abbiamo molto su cui
lavorare.
“Ricamare
non è certo passare il tempo, è scrivere sulla tela una storia lunga e
complicata. Far parlare le mani, mentre il fiato è sospeso e gli occhi
lacrimano. Per me, poi, è ritrovare tante voci, anche quelle sepolte da un
pezzo. Nel ricamo tutto torna vivo e si fa sentire”.
“Possono
le trame costituire le tracce di un sentiero che porta alla felicità?”
“Il
filo della speranza”, di Guia Risari
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