Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì
Volano i
giorni, volano come le foglie che il vento disperde lungo i viali, volano
veloci come poesie consumate in fretta. Olga è appena rientrata a casa quando
le squilla il cellulare. Sbuffa. Avrebbe solo voglia di buttarsi un po’ sul
letto. Domenica sera è tornata dall’Argentario con un mal di gola e un raffreddore
memorabili, ma è andata comunque a lavorare in questi giorni. Sempre meglio che
stare a casa a rimuginare. Si affanna a cercare il cellulare in borsa, che è
finito come al solito sul fondo.
- Pronto?
- Buonasera. Parlo con la signora Olga
Cabonetti?
- Sì?
- Buonasera signora. La chiamo dal
Centro di prevenzione. Sono arrivati i risultati delle sue analisi.
- Sono in anticipo rispetto a quanto
mi avevano detto.
- Sì. Se ce la fa, può passare anche
stasera. Chiudiamo fra un’ora.
Per
un attimo non sa che dire. Le viene la tentazione assurda di chiederle di
aprire
la busta.
-
Ok. Grazie … - rimane incerta - … mi scusi, ma lei sa per caso … –
-
No signora, mi dispiace. Non sono un medico – risponde la donna, con voce
dolce.
Si
guarda nello specchio. Ha l’aria stanca, il naso rosso, il foulard sgualcito
e
mezzo slacciato.
I
risultati sono in anticipo: non sa se considerarla una buona notizia o no. Però
dove
lo trova il coraggio di andare a prenderli da sola? Alfredo chissà a che
ora
tornerà … anche se lo chiamasse, non farebbe in tempo a tornare. Forse
potrebbe
aspettare domani. Che differenza può fare? Ma prende la borsa e le
chiavi
e s’incammina verso la casa dei suoi genitori. Fortuna che non stanno
lontani.
Quando arriva da
loro, suo padre è appena rientrato e sua madre è già ai
fornelli a preparare
la cena. Dopo il primo momento di sgomento, nel quale
nessuno ha mai
pronunciato la parola “biopsia”, il clima fra loro sembra essere
normale. Come se
nulla fosse successo. Forse potrebbe andare con loro a
prenderli.
- Sono arrivati i risultati – dice appena
entra in casa, ancora prima di salutarli. Chissà se l’affanno è per l’emozione o per le scale fatte di corsa.
- Ah – risponde lui, cercando con gli
occhi sua moglie, e in quell’unico suono Olga avverte un dolore represso.
- Andiamo a prenderli. Ma andate voi,
però: io vi aspetto in macchina. Preferisco saperlo da voi.
La
mamma è appoggiata all’acquaio, lo sguardo intrappolato in un pensiero
nascosto.
Poi Olga sente suo padre che mormora: - io non ce la faccio.
Olga
spalanca gli occhi. Rimane senza parole. Non ce la faccio, le ha confessato
suo
padre. Quell’uomo amato, ma anche un po’ temuto, da bambina. Quell’uomo un po’severo,
quell’uomo che le è sempre sembrato forte e sicuro, senza incertezze, scopre in
un momento tutta la sua umanità e la sua paura.
- Come non ce la fai? – gli chiede
allora lei, con dolcezza – babbo, anche io non ce la faccio – si sente una
vigliacca, ma vuole essere protetta.
La
mamma si sfila il grembiule, senza parlare, si avvia a mettersi le scarpe, si
passa un filo di rossetto e si pettina i capelli.
-
Andiamo – dice soltanto, col coraggio delle mamme, e li attende, ferma, vicino
alla porta.
Montano
in macchina. Olga dietro, come da bambina. Non parlano. Le luci della
sera
nascondono le loro espressioni, li proteggono. Arrivano davanti all’istituto ed
i suoi genitori si girano un attimo a guardarla. Lei fa un cenno e annuisce.
Scendono
e si avviano per le scale. Olga si fa rapire dai fari delle macchine che
sfrecciano.
Vorrebbe salire su un’auto qualsiasi e appropriarsi di un’altra vita,all’improvviso.
Lei
e lui si prendono per mano. Davanti alla signorina consegnano la delega di
Olga
per il ritiro delle analisi. Devono ricordarsi di respirare, perché sono così
tesi che capiscono a malapena cosa stanno facendo. Tutto ha un suono e unsignificato diverso. La signora del banco scorre le varie buste: impossibile che
rifletta sul fatto che il suo gesto frettoloso sfogli vite di persone. Magari ci avrà
anche pensato qualche volta, ma poi tutto diventa automatico: sono solo nomi
scritti a computer su un’etichetta. Eccola la busta. Gliela consegna. La coppia la prende e va a sedersi poco distante, su una fila di seggioline vicine all’uscita, un po’ appartate. Lui la tiene un momento, rigirandosela fra le mani, allora lei gliela sfila dalle dita. La apre. Leggono, col fiato sospeso, le teste vicine, sperando che i termini medici non siano incomprensibili. Arrivano in fondo, si abbracciano e piangono. E’ come se l’avessero fatta di nuovo, la loro figlia, come averla partorita la seconda volta.
Ma
presto, presto, c’è Olga in macchina, che è in pena ed ha paura. Quasi corrono per
le scale, e Olga li vede arrivare così, insieme, tenendosi per mano come due fidanzati,
con una piccola busta che sventola come fosse un fazzoletto.
Hanno
volti sorridenti. Entrano in macchina e le danno la busta.
-
Leggila,
leggila! – la incitano, e Olga capisce che è salva.
Non
è un tumore. Era qualcos’altro. Si sente scendere dentro una tranquillità mai
provata, quasi un torpore. Il corpo si abbandona. Questa volta ha vinto lei. E si
gusta il momento. Promette a se stessa che da oggi vivrà in modo diverso, meno
ordinato, meno programmato, che non rimanderà più a domani, a un tempo
migliore.
Sono le solite
promesse che si fanno a se stessi in queste occasioni, vedrai se non ti farai
intrappolare di nuovo dai soliti schemi …
Ti dico di no,
questa volta non succederà, risponde a se stessa, a quella se stessa così precisetta
e anche un po’ antipatica, ma che le fa comunque tenerezza. Ti dico che ti
aiuterò a cambiare. L’altra lei non risponde, se ne sta zitta, ma le pare di
intravederla riflessa nel vetro del finestrino, che le sorride, intimidita. Per
questa volta rimane zitta. Magari il programma, in fondo, piace anche a lei.
FINE
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