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giovedì 5 luglio 2018

Un libro per riflettere: “Due donne” di Velma Wallis, Ed. Tea Due


In Giappone, a metà settembre, si celebra la festa Keiro no Hi (la festa nazionale degli anziani), una testimonianza del grande rispetto dei giapponesi per i saggi della famiglia. Durante il giorno vengono allietati da spettacoli, danze e canti in loro onore: è un modo gentile e affettuoso di coccolarli. Ripensavo proprio a questa festa pochi giorni fa, mentre leggevo un piccolo libro che racconta di due vecchie donne. Certo, il paese è differente, così come il periodo storico e le condizioni di vita. Però mi è servito per fare diverse riflessioni. Non voglio comunque influenzarvi. Mi limito a consigliarvi di leggere questo libro, indipendentemente dalla vostra età. 

“Due donne” di Velma Wallis, Ed. Tea Due

Questa storia è stata tramandata di generazione in generazione, fino a giungere alla madre della scrittrice. E’ un libro che fa riflettere, perché mostra come non ci siano limiti alle proprie capacità e come in ogni individuo vi siano incredibili risorse. La popolazione di cui scrive la Wallis appartiene alla tribù dei Gwich’in, che viveva nomade nella zona dove adesso si trovano Fort Yukon e Chalkyitsik, una delle undici tribù atabasche in Alaska.

Un’usanza tra le tribù nomadi del Nord, impone l’abbandono dei vecchi prima delle lunghe marce di trasferimento invernale. Quest’antica leggenda narra di due anziane eschimesi che, abbandonate perché considerate un peso per il gruppo, decisero di non lasciarsi morire e di lottare per la loro sopravvivenza. Giorno dopo giorno, combattendo contro il freddo, la fame e gli acciacchi dell’età, riscoprirono l’antica perizia nel fabbricare gli oggetti necessari alla vita in Alaska, furono capaci di costruirsi ripari per la notte e procacciarsi il cibo, grazie alla caccia e alla pesca. Giunte alla fine dell’inverno, ritrovarono la loro gente e diedero loro una grande lezione di vita e di cuore.

L’autrice, in questo piccolo romanzo, ci mostra com’era veramente la vita di questa popolazione, in lotta continua per l’esistenza, messa in pericolo da piccoli o grandi cambiamenti climatici. Velma Wallis, infatti, nata nel 1960 in una famiglia di tredici figli, fu educata in modo tradizionale nel villaggio atabasco di Fort Yukon, a pochi km dal circolo polare artico. Quando la scrittrice aveva tredici anni, morì suo padre e lei abbandonò la scuola per occuparsi dei fratelli più piccoli. Quando i fratelli crebbero, Velma si trasferì in una capanna di caccia a 18 km da Fort Yukon, dove visse da sola e dove divenne abilissima nell’arte della sopravvivenza. Di tanto in tanto andava a Fort Yukon, dove, su un computer preso in prestito da Annette Seimens, iniziò a scrivere la prima stesura di questo romanzo. Mandò quindi il manoscritto alla casa editrice Epicenter, ma questa era nata solo da un anno e non aveva i fondi necessari per pubblicarlo, pur ritenendolo meritevole. La fama del manoscritto comunque si diffuse, grazie ai proprietari della Epicenter, che si erano rivolti alle organizzazioni che avrebbero potuto patrocinare il progetto. Nessuno però accolse l’idea, perché la Wallis era sconosciuta e, oltre a questo, alcune persone pensavano che facesse sfigurare gli atabaski. Lael Morgan della Epicenter decise allora di aprire una sottoscrizione di fondi per la pubblicazione. Nacque così il fondo “amici di Velma Wallis”. Nel frattempo però, la casa editrice Epicenter diventò abbastanza importante per pubblicare il romanzo.

 “In questo particolare gruppo c’erano due vecchie che la tribù accudiva da molti anni. La più vecchia delle due si chiamava Ch’idzigyaak. Il nome dell’altra era Sa’. …. Ogni volta che il gruppo si accampava in un nuovo posto, il capo ordinava ai più giovani di preparare un riparo per le due vecchie e di portar loro legno e acqua. Le donne più giovani si tiravano dietro, da un accampamento all’altro, la roba delle due anziane e, da parte loro, le due vecchie tingevano le pelli degli animali per ricompensare chi le aiutava. Le due vecchie avevano in comune un tratto piuttosto insolito tra la gente dell’Artico. Non facevano che lamentarsi dei loro acciacchi, e portavano dei bastoni per mostrare a tutti la loro situazione. Cosa abbastanza sorprendente, gli altri sembravano non badarci, benché avessero insegnato loro fin dall’infanzia che la debolezza non era tollerata tra gli abitanti di quelle aspre terre. Nessuno rimbrottava le due donne, ed esse continuarono a spostarsi insieme al gruppo, fino ad un giorno fatale.”

Buona lettura! E buona riflessione ... Come sempre, sarò felice se vorrete condividere qui i vostri pensieri e le vostre considerazioni.   

 
 “Le storie sono doni che i vecchi fanno ai giovani”

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