In Giappone, a metà
settembre, si celebra la festa Keiro no Hi (la festa nazionale degli anziani), una
testimonianza del grande rispetto dei giapponesi per i saggi della famiglia. Durante
il giorno vengono allietati da spettacoli, danze e canti in loro onore: è un
modo gentile e affettuoso di coccolarli. Ripensavo proprio a questa festa pochi giorni fa, mentre leggevo un piccolo libro che racconta di due vecchie donne. Certo, il paese è differente, così come il periodo storico e le condizioni di vita. Però mi è servito per fare diverse riflessioni. Non voglio comunque influenzarvi. Mi limito a consigliarvi di leggere questo libro, indipendentemente dalla vostra età.
“Due
donne” di Velma Wallis, Ed. Tea Due
Questa storia è stata
tramandata di generazione in generazione, fino a giungere alla madre della
scrittrice. E’ un libro che fa riflettere, perché mostra come non ci siano
limiti alle proprie capacità e come in ogni individuo vi siano incredibili
risorse. La popolazione di cui scrive la Wallis appartiene alla tribù dei
Gwich’in, che viveva nomade nella zona dove adesso si trovano Fort Yukon e
Chalkyitsik, una delle undici tribù atabasche in Alaska.
Un’usanza tra le tribù
nomadi del Nord, impone l’abbandono dei vecchi prima delle lunghe marce di
trasferimento invernale. Quest’antica leggenda narra di due anziane eschimesi
che, abbandonate perché considerate un peso per il gruppo, decisero di non
lasciarsi morire e di lottare per la loro sopravvivenza. Giorno dopo giorno, combattendo
contro il freddo, la fame e gli acciacchi dell’età, riscoprirono l’antica
perizia nel fabbricare gli oggetti necessari alla vita in Alaska, furono capaci
di costruirsi ripari per la notte e procacciarsi il cibo, grazie alla caccia e alla
pesca. Giunte alla fine dell’inverno, ritrovarono la loro gente e diedero loro
una grande lezione di vita e di cuore.
L’autrice, in questo
piccolo romanzo, ci mostra com’era veramente la vita di questa popolazione, in
lotta continua per l’esistenza, messa in pericolo da piccoli o grandi
cambiamenti climatici. Velma Wallis, infatti, nata nel 1960 in una famiglia di tredici
figli, fu educata in modo tradizionale nel villaggio atabasco di Fort Yukon, a
pochi km dal circolo polare artico. Quando la scrittrice aveva tredici anni,
morì suo padre e lei abbandonò la scuola per occuparsi dei fratelli più
piccoli. Quando i fratelli crebbero, Velma si trasferì in una capanna di caccia
a 18 km da Fort Yukon, dove visse da sola e dove divenne abilissima nell’arte
della sopravvivenza. Di tanto in tanto andava a Fort Yukon, dove, su un
computer preso in prestito da Annette Seimens, iniziò a scrivere la prima
stesura di questo romanzo. Mandò quindi il manoscritto alla casa editrice
Epicenter, ma questa era nata solo da un anno e non aveva i fondi necessari per
pubblicarlo, pur ritenendolo meritevole. La fama del manoscritto comunque si diffuse,
grazie ai proprietari della Epicenter, che si erano rivolti alle organizzazioni
che avrebbero potuto patrocinare il progetto. Nessuno però accolse l’idea,
perché la Wallis era sconosciuta e, oltre a questo, alcune persone pensavano
che facesse sfigurare gli atabaski. Lael Morgan della Epicenter decise allora di
aprire una sottoscrizione di fondi per la pubblicazione. Nacque così il fondo
“amici di Velma Wallis”. Nel frattempo però, la casa editrice Epicenter diventò
abbastanza importante per pubblicare il romanzo.
“In questo particolare gruppo c’erano due
vecchie che la tribù accudiva da molti anni. La più vecchia delle due si
chiamava Ch’idzigyaak. Il nome dell’altra era Sa’. …. Ogni volta che il gruppo
si accampava in un nuovo posto, il capo ordinava ai più giovani di preparare un
riparo per le due vecchie e di portar loro legno e acqua. Le donne più giovani
si tiravano dietro, da un accampamento all’altro, la roba delle due anziane e,
da parte loro, le due vecchie tingevano le pelli degli animali per ricompensare
chi le aiutava. Le due vecchie avevano in comune un tratto piuttosto insolito
tra la gente dell’Artico. Non facevano che lamentarsi dei loro acciacchi, e
portavano dei bastoni per mostrare a tutti la loro situazione. Cosa abbastanza
sorprendente, gli altri sembravano non badarci, benché avessero insegnato loro
fin dall’infanzia che la debolezza non era tollerata tra gli abitanti di quelle
aspre terre. Nessuno rimbrottava le due donne, ed esse continuarono a spostarsi
insieme al gruppo, fino ad un giorno fatale.”
Buona lettura! E buona riflessione ... Come sempre, sarò felice se vorrete condividere qui i vostri pensieri e le vostre considerazioni.
“Le storie sono doni che i vecchi fanno ai
giovani”
Nessun commento:
Posta un commento