Quando
Angela passa in ufficio per sapere com’è andata, trova Olga contornata dai suoi
colleghi. Sta raccontando cosa le è successo. Ha le lacrime agli occhi. Il
gruppetto si apre come un corteo quando la vedono entrare: Angela è un’amica
speciale e Olga adesso ha bisogno di lei. Oggi non sono andate a prendere
insieme il solito caffè delle 10.40, perché Olga è rientrata piuttosto tardi
dalla visita.
-
Ero
passata a portarti il biglietto per stasera ... Che pensi di fare? Vieni lo
stesso?
-
Ma
sì, certo. Tanto …. Magari mi aiuta a non pensare … e poi mi hanno
detto che il risultato l’avrò fra dodici giorni. Non posso mica pensare
di fermare il mondo mentre aspetto ….
-
Allora
passa da me stasera. Mangi un boccone con noi e poi andiamo tutti
insieme in macchina con Maurizio e i ragazzi.
-
Sette
e un quarto da te?
-
Facciamo
alle sette. Lo sai com’è difficile trovare posto.
-
Per
te sarà uno scherzo! - sorride Olga, pensando che Angela è speciale a trovare
parcheggio nei posti più improbabili.
Mentre
parcheggia davanti a casa di Angela si chiede se lei abbia detto qualcosa alla
sua famiglia. Non sa che accoglienza aspettarsi. Però non le va di parlare di
niente che abbia a che fare con la mattinata trascorsa. Le fanno una gran festa,
come sempre. Sono accoglienti e ospitali, abituati a vedersi la casa invasa da
chiunque. “Hai una bella famiglia” aveva detto la prima volta che li aveva
conosciuti e Angela aveva sorriso alzando le spalle, quasi timidamente. Olga
l’aveva detto così, a prima impressione, ma via via la maggiore conoscenza e
confidenza avevano avvalorato quella sensazione. Così adesso sono tutti seduti
intorno alla tavola, tranne Angela, che si è incaricata di scaldare le piadine,
e sua madre che finisce di mettere in tavola lo stracchino e il prosciutto
crudo, quello buono di Piazza Leopoldo. Olga scaccia la tristezza, sgombra la
mente e parla con Marta e Andrea dell’Università, di musica e dei loro
interessi. Le piace parlare con loro, farli raccontare le cose a cui tengono e
che amano. Hanno occhi e sorrisi grandi e luminosi e si vogliono bene, si vede,
e le raccontano delle difficoltà chiedendosi scherzosamente se riusciranno a
“sfangarla” quest’Università. Se un giorno avrò dei figli mi piacerebbe fossero
come loro, pensa Olga, mentre inizia a spalmare la sua piadina di formaggio
fuso. Poi ci adagia sopra una fetta di prosciutto e addenta il primo morso
assaporando il sapore fragrante e morbido insieme. Una goccia di stracchino le
cade sulla mano e senza pensarci, come una bambina, porta la bocca alla mano e
con le labbra imprigiona il formaggio. Si rende conto subito dopo che quel
gesto presupporrebbe una maggior familiarità, se non altro, e si chiede perché
l’abbia fatto, ma poi, dopo il primo momento d’imbarazzo, le viene da sorridere
fra se e si guarda intorno, ma nessuno ci ha fatto caso o ha mostrato di farne.
-
La
vuoi la frutta? – le chiede la “nonna” con i suoi cerulei occhi liquidi.
-
No,
grazie.- Ma sei sicura? Nemmeno una pera da dividere con me?
Olga sorride e annuisce – Va bene, a mezzo va bene, grazie.
-
Te
la sbuccio io – conclude allora lei prendendo un coltello. Le sue mani lavorano
con attenzione attorno alla pera. Olga rimane ad osservarla notando quanta cura
metta nel togliere al frutto il minimo indispensabile di polpa. La buccia che
si srotola via via nel piatto è sottile come una carta velina. Ecco, ha finito.
Le porge la sua metà sorridendo incoraggiante, senza scusarsi scioccamente di
averla toccata con le sue mani: rugose, nodose di vene in rilievo e macchiate
di vecchiaia. Ad Olga viene voglia di baciargliele. O di abbracciarla. Le ha
sbucciato una pera ed Olga non sa come ricambiare. Tutte le sue sensazioni da
stamani le sembrano amplificate. La mangia riconoscente: è buona, polposa,
succosa e zuccherina come tutta la frutta che qualcuno ha sbucciato con amore
per te.
-
Andiamo
dai, Caboncina! Sbrigati che siamo quasi tutti pronti … o quanto ci metti a
mangiare? – la sollecita Angela sorridendole. Olga ricambia il sorriso: è buffo
quel modo che ha di chiamarla ogni tanto, accorciando il cognome e volgendolo a
un affettuoso diminutivo. Da Olga Cabonetti è divenuta, a seconda dei casi, “la
Cabo” quando parla di lei con altri di comune conoscenza, “Caboncina” quando
parlano fra loro o “Cabons” ma in voce più rara e in momenti sempre diversi.
Così beve in fretta l’unico bicchiere d’acqua che si è versata durante la cena
e si alza. E’ già quasi per le scale con gli altri quando Armida, la nonna, la
blocca sul pianerottolo.
-
E
la crostata? La crostata? Mica vorrai andare via senza averla assaggiata! L’ho
fatta io, sai! - Ad Olga le crostate non sono mai piaciute molto, ma quella non
la rifiuta e si mangia tutta la fetta mentre scende per le scale e si avviano a
prendere la macchina.
-
Allora
vi siete documentati un po’ su questa “figlia di Iorio” o no? – chiede il
marito di Angela mentre sono diretti al Teatro della Pergola.
-
Oi
oi Maurizio, ora non ti mettere a fare il Professore … non ti basta quando lo
fai a scuola per davvero?
-
Io
facevo solo perché così si capisce meglio tutta la storia … però se non v’interessa
….– replica lui, un po’ sulla difensiva.
-
No
no, a me fa piacere sapere qualcosa in più. So solo che è di D’Annunzio, ma non
ho idea di cosa parli …. – risponde Olga.
-
Allora,
è un …. – fa per iniziare a spiegare lui, ma la figlia lo interrompe e
finiscono per dirla un po’ l’uno un po’ l’altra inframmezzando spesso la
narrazione da varie domande ed esclamazioni “attenta a quello che ti viene da
sinistra … ma chi gliel’ha data la patente?” “ma dove hai girato? Perché fai
questa strada?” “O ragazzi, quando guidate voi fate la strada che volete, io
faccio questa …” “ma poi dove parcheggi?”
“Si prova a vedere se si trova posto a “Lettere”, dietro l’ospedale”.
Alla fine trovano posto davvero dove aveva suggerito Angela e si avviano a
passo svelto verso il Teatro. I ragazzi hanno fissato con una loro amica e
siedono in platea, mentre Olga, Angela e Maurizio occupano un palco. A Olga
piace il palco. E’ il posto che preferisce quando va a teatro ed ama, in
special modo, proprio quel teatro.
Di solito con suo marito le piace
arrivare un po’ prima, percorrere con lentezza la strada fino al Bar Pergola e
fermarsi per un caffè, pregustando lo spettacolo che hanno scelto. Quando escono
Alfredo accende una sigaretta (“la migliore è quella dopo il caffè”, come dice
sempre lui) e si avviano di nuovo, chiacchierando, fino ad arrivare davanti al
Teatro che li accoglie con quel suo muro pastello ornato d’edera. Fuori ci sono
i soliti gruppetti che invadono la carreggiata, provocando qualche fastidio a
chi passa in macchina. Ma cosa importa? E’ una serata di piacere, di
chiacchiere, di ritrovi, con quell’atmosfera di rilassatezza e noncuranza.
Entrano nel foyer, salgono la scalinata dopo aver mostrato i biglietti ed ecco
che il mostrare il biglietto non le ha semplicemente concesso l’ingresso a
teatro, ma le ha regalato una porta sul tempo. Si guarda intorno, guarda i
volti, gli stucchi raffinati, i giochi di specchi, come a controllare che nessuno
abbia messo in disordine qualcosa, come ad assicurarsi che è proprio tutto come
l’ha lasciato l’ultima volta. O a volte cerca di immaginarsi le trasformazioni
avvenute nei secoli in quel Teatro, a come doveva essere nella versione
originaria in legno, ai volti noti del tempo che si sono aggirati in quegli
stessi ambienti … la Duse, o Verdi alla prima rappresentazione del suo Machbet
… Poi si dirigono sicuri verso il palco scelto, ne prendono possesso. Si
siedono. E lei si sente di colpo una dama di corte, osservando lo scintillio
delle luci, i drappi del sipario, la pianta allungata a forma di ferro di
cavallo. Dall’intimità ovattata del loro palco si guardano intorno curiosi,
scrutando la platea, le persone, l’alzarsi e risedersi per far passare i vicini
di poltrona, l’affrettarsi degli ultimi ritardatari fino a quando, pian piano,
le luci si smorzano e lei respira a fondo socchiudendo un istante gli occhi per
vivere, sia pure da spettatrice, nella commedia allestita. Anche stasera è
così, a parte il tendere della sua mente a ricascare in un faticoso ripasso
delle espressioni facciali dei dottori.
-
Forse
essere venuti a vedere “la figlia di Iorio” non è l’ideale per te stasera …. –
le sussurra piano Angela distraendola dai suoi pensieri. Olga alza le spalle,
scuotendo la testa.
-
Ma
no, dai … una bella tragedia, un bel parricidio e via … beh, in effetti,
Goldoni sarebbe stato meglio …
-
Dai
dai Caboncina, ora non ci pensare. Zitti zitti incomincia ….
Così
si apre il sipario e Olga si cala immaginariamente sul palco, seguendo la
storia di Aligi, dei mietitori, di Mila, dell’Angelo Muto alle spalle della
donna fino all’uccisione di Lazzaro. “Lazzaro Lazzaro Lazzaro quanta pena si
pate per te”, canta il coro delle donne, inscenando contemporaneamente una
strana danza. Questo canto accorato le rimane nelle orecchie fino all’epilogo
della tragedia e la segue fin fuori il teatro, lungo le strade, davanti a casa.
Continua
…
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