Gloria, lei, non aveva niente di tutto ciò.
Non aveva mai fatto un nido, mai avuto piccoli.
Le importava poco di sopravvivere: lei viveva.
Allora perché, una mattina di dicembre, volava controcorrente nel cielo?
Perché quella rondine aveva lasciato da vari giorni il filo dell’equatore che avrebbe dovuto trattenerla in quel periodo dell’anno? Gloria era sola. Volava da molto tempo. Aveva visto il deserto gettarsi nel mare, poi la terra rinascere di nuovo nella bruma. Si dirigeva verso nord nel cuore dell’inverno.
Un po’ più lontano, in quel momento, Freddy d’Angelo procedeva nella stessa direzione. Guidava un piccolo camion frigorifero giallo su cui era scritto, con eleganti curve rosse: Gelati Pepino & Schultz.
Partito dalla città di Genova a mezzanotte, aveva superato tutti i tunnel che costeggiano il mare tra l’Italia e la Francia.
Si sporgeva spesso oltre il volante per cercare nel cielo i primi segni della tempesta di neve annunciata da tre giorni. Ascoltava una vecchia cassetta di Frank Sinatra che sembrava cantare il Natale, ma che Freddy faceva girare in ogni stagione, soprattutto in piena estate, proprio lui che detestava le feste.
Lavorava da trentasette anni per i gelati Pepino & Schultz. Nonostante il suo nome italiano, Freddy d’Angelo non parlava una parola di questa lingua. Viveva da solo in un piccolo paesino nel nord della Francia, lungo l’autostrada A26.
Per coscienza professionale, non aveva mai assaggiato i gelati che trasportava.
Cos’avrebbe fatto per il resto della sua vita?
Questo mondo non era più un posto per lui.
Aspettava che finalmente accadesse qualcosa.
Improvvisamente, il neon si spense. L’oscurità invase la cucina mentre un rumore assordante faceva vibrare le piastrelle sotto i suoi piedi.
Freddy riconobbe subito quel suono: una sirena da nebbia, il fragore di un piroscafo in partenza. Era il clacson che aveva scelto in un bazar di Marsiglia, trent’anni prima.
Freddy prese una scala e salì sul tetto della cabina. Si rimboccò le maniche, infilò lentamente il pugno nel vano del climatizzatore. Si fermò, esitò chiudendo gli occhi e ritirò la mano con la stessa cautela.
Tra le dita, illuminate dalla torcia, teneva una palla di piume ancora calda. Un uccello dal ventre bianco. Nella notte gelida, doveva aver cercato di rifugiarsi in quel buco d’aria calda e aveva provocato il guasto generale.
Freddy d’Angelo si diresse verso la doppia porta posteriore del camion. Sulle ginocchia aveva un rimasuglio di neve raccolta sul tetto. Sbloccò i tre lucchetti e spalancò i due battenti.
Puntò la torcia verso l’interno.
Seduto sulle casse di gelato, qualcuno lo guardava.
Indossava un cappotto di lana, una sciarpa e un berretto.
Era un ragazzo di poco più di vent’anni, nero, la barba coperta di brina.
Freddy rimase a fissarlo, non troppo sorpreso di trovarlo lì.
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