Tutto da cambiare, Tonino!

Tutto da cambiare, Tonino!
Tonino è cresciuto ed è a spasso nella rete! Se vuoi puoi seguirlo su Blook Intrecci nella rete. Leggi tutto il libro gratis a puntate! Qui trovi il primo capitolo: https://blookintreccinellarete.blogspot.com/2015/06/antonio-punto-e-capo-primo-capitolo-due.html

giovedì 26 luglio 2018

Segnalazione: Festival itinerante di letture "Le mille e una notte"



Purtroppo ho appreso la notizia un po' in ritardo, ma colgo l'occasione comunque per segnalarvi questo festival itinerante, che si propone di raccontare un ciclo di novelle tratte dalle Mille e una notte. Le letture sono affidate ad interpreti femminili, che rappresentano Shahrazād, e le serate saranno allietate da musica dal vivo, danze e degustazioni.

I prossimi appuntamenti: 26 luglio, 27 luglio, 8 settembre.

Per consultare il programma clicca qui: http://www.archetipoac.it/le-mille-e-una-notte/

INFO: Archètipo Associazione Culturale
Biglietti: intero € 10 | ridotto € 7
prenotazione obbligatoria, posti limitati
tel. 055 621894 (dalle ore 09.00 alle 13.00)
prenotazioni@archetipoac.it

lunedì 23 luglio 2018

Segnalazione: Ciclo di letture, dal 24 luglio al 3 agosto

Firenze, 24 luglio - 3 agosto 2018

Teatro dell'Elce nell'ambito dell'Estate Fiorentina 2018
 
presenta
METROPOLITANIA
Ciclo di Letture
Spazi aperti alla riflessione collettiva

 L’inizio del Terzo Millennio è stato inaugurato da un evento inaudito per la storia dell’umanità: la popolazione che vive nelle città ha superato quella insediata nelle campagne. Il contesto urbano è il paesaggio prevalente che circonda l’essere umano contemporaneo. La metropoli, in particolare, è habitat dai tratti caotici, ingarbugliati, multiformi. È specchio, se si vuole, della forma di pensiero che abita il civis contemporaneo. Questa Weltanschauung proteiforme, inafferrabile nella sua accezione globale, risulta difficile da inquadrare anche su scala nazionale o locale: su quali appigli di pensiero possono basarsi la singola cittadina o il singolo cittadino di fronte alle sfide della contemporaneità? Come possono contribuire a modellare con umanità ed equità la nascente “Metropolitania”?

Ci siamo proposti di realizzare, all’interno di spazi pubblici della città di Firenze, alcune letture di testi legati in modo più o meno diretto alla cultura civile. Per ogni sessione è allestito un tavolo di lettura al quale siedono gli attori e il fonico; il pubblico vi è disposto intorno o su due lati, evitando la prospettiva frontale. La circolarità dello spazio e il carattere avvolgente del suono favoriscono una maggiore intimità dell’ascolto. La lettura è condivisa, partecipata, gli attori e gli spettatori vi sono immersi.


Ecco il programma completo:
Martedì 24 luglio, ore 21
Biblioteca Mario Luzi • via Ugo Schiff 8
LETTERA A EICHMANN


Mercoledì 25 luglio, ore 21
Biblioteca Villa Bandini • via del Paradiso 5
UNDER FIRE

Giovedì 26 luglio, ore 21

Biblioteca delle Oblate • via dell’Oriuolo 24
NOI RITORNEREMO!

Venerdì 27 luglio, doppia replica ore 21.00 e ore 22.00
Museo Casa Siviero • lungarno Serristori 1
UNDER FIRE

Lunedì 30 luglio, ore 21
Biblioteca Thouar • piazza Toruqato Tasso 3
UNDER FIRE

Martedì 31 luglio, ore 17.30
Biblioteca del Galluzzo • via Senese 206
UNDER FIRE

Mercoledì 1 agosto, ore 21
Biblioteca Filippo Buonarroti • viale Guidoni 188
LETTERA A EICHMANN

Giovedì 2 agosto, ore 21
BiblioteCaNova Isolotto • via Chiusi 4/3 A
NOI RITORNEREMO!

Venerdì 3 agosto, doppia replica ore 21.00 e ore 22.00
Museo Casa Siviero • lungarno Serristori 1
UNDER FIRE

La partecipazione alle letture è a ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti disponibili.

Altre informazioni su: www.teatrodellelce.it/metropolitania

mercoledì 18 luglio 2018

"I paesaggi perduti. Romanzo di formazione di una scrittrice" - Joyce Carol Oates - Mondadori


Ho appena finito di leggere il memoir di Joyce Carol Oates. E’ stata una lettura che mi ha impegnata per diversi mesi. In realtà non ricordo bene quando l’ho comprato; mi ricordo solo di essere entrata in libreria, aver girato la testa verso uno scaffale e aver posato gli occhi su quella copertina: una bambina con un vestitino rosso a pois bianchi, con il sorriso timido, le mani graziosamente unite. E poi il titolo: “I paesaggi perduti. Romanzo di formazione di una scrittrice”. L’ho preso in mano per sfogliarlo e ho subito saputo che non sarei uscita dalla libreria senza averlo acquistato. Così, col fatto che si prestava bene a leggerlo un po’ alla volta, senza perdere il filo, il libro mi ha tenuto compagnia diversi mesi e ha visto avvicendarsi sul comodino molti altri titoli, venuti dopo di lui e ripartiti prima di lui. Alcuni libri devono stare con te per un po’: non richiedono fretta, ne’ tensione per essere divorati. Questo, almeno per me, è uno di quelli. Affermare che mi è piaciuto molto non gli renderebbe giustizia e del resto vi direbbe poco. E’ un libro intimo, malinconico e intenso, che svela la personalità dell’autrice, la mette a nudo. Inizia presentandoci la vita di Joyce bambina, immersa nell’America rurale degli anni quaranta; incontriamo gli amatissimi genitori, poi un singolare animale da compagnia, assistiamo alla nascita delle prime amicizie, ai racconti della vita quotidiana fatta di duro lavoro e semplici gioie. Via via, capitolo dopo capitolo, seguiamo Joyce nella sua crescita: da bambina a ragazza, poi a donna. Figlia, moglie, scrittrice, insegnante: a ogni aspetto della vita sono dedicate storie, ricordi, rievocazioni di sentimenti, il tutto reso ancora più emozionante dalle foto di famiglia. Quelle foto aggiungono molto al testo, il libro ne risulta arricchito: per chi legge è piacevole dare un volto ai personaggi di cui scrive la Oates. Ma c’è da sottolineare anche il loro potere “evocativo”: credo che, guardandole, a quei volti si sovrapporranno i volti della vostra famiglia e di coloro che amate o che avete amato. Leggere questo memoir significa tuffarsi in un’esperienza umana che non potrà non suscitarvi paragoni con la vostra vita, non potrà non far riaffiorare ricordi che rischiavano di sbiadire. Per questo, forse, credo che il libro sia da consigliare agli adulti.

 
“Eravamo poveri, credo, eppure non sembrava. In qualche modo ce la cavavamo bene.”

Fino all’età di dodici o tredici anni trascorrevo le mie ore più felici vagabondando per campi desolati, per boschi, e lungo gli argini del fiume che passava vicino alla fattoria della mia famiglia. Nessuno sapeva dove andassi. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto mi allontanassi.”

“La “biblioteca” della scuola consisteva in un paio di scaffali e fra i volumi c’era un dizionario Webster, che mi affascinava: un libro tutto fatto di parole! Un tesoro di segreti, sembrava a me, disponibile per chiunque volesse cercare.”

“Verso la fine di agosto, in previsione dell’inizio delle lezioni che sarebbero cominciate in settembre, dopo il Labor Day, andavo a piedi fino a scuola con la mia scatola nuova di matite e la gavetta per il pranzo, entrambi regali di nonna Blanche, e mi sedevo sul gradino di pietra dell’ingresso. Lo facevo per il piacere di starmene lì a sognare l’inizio delle lezioni: forse per il piacere di godermi la solitudine e il silenzio che, una volta cominciata la scuola, sarebbero diventati merce rara”

Joyce Carol Oates  

giovedì 5 luglio 2018

Appunti di scrittura creativa: quello che nessun lettore tollera ...


Gli attori, quando recitano in un film, hanno lo scopo di sospendere nell’audience l’incredulità. Non vedete più l’attore, ma il personaggio che rappresenta. E siete talmente assorbiti e coinvolti dal film al punto che, in quel momento, percepite la storia che viene raccontata come se fosse vera: vi commuove, vi diverte, vi fa sognare. Chi è che in letteratura parla di sospensione dell’incredulità? Il primo a parlarne, fu il filosofo e critico letterario Samuel Taylor Coleridge (1777-1834). Scrisse che è proprio la sospensione dell’incredulità che ci fa godere e apprezzare una storia. Ogni lettore quindi non pretende l’assoluto realismo, ma, come ammoniva Coleridge, quello che nessuno è disposto a sopportare è l’incoerenza del racconto. Facciamo attenzione quindi, nei nostri scritti, a mantenere sempre questa coerenza interna.
Felice scrittura!
 
Notes of creative writing: what no reader will tolerate ...
The actors, when acting in a film, are meant to suspend disbelief in the audience.  You no longer see the actor, but the character he represents.  And you are so absorbed and involved in the film to the point that, at that moment, you perceive the story that is told as if it was true: it moves you, it entertains you, makes you dream.  Who spoke of suspension of disbelief in literature?  The first to talk about it was the philosopher and literary critic Samuel Taylor Coleridge (1777-1834).  He wrote that it is precisely the suspension of disbelief that makes us enjoy and appreciate a story.  Therefore, every reader does not claim absolute realism, but, as Coleridge warned, what nobody is willing to bear is the inconsistency of the story.  Therefore, in our writings, we must always keep this internal coherence.  Happy writing!
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Un libro per riflettere: “Due donne” di Velma Wallis, Ed. Tea Due


In Giappone, a metà settembre, si celebra la festa Keiro no Hi (la festa nazionale degli anziani), una testimonianza del grande rispetto dei giapponesi per i saggi della famiglia. Durante il giorno vengono allietati da spettacoli, danze e canti in loro onore: è un modo gentile e affettuoso di coccolarli. Ripensavo proprio a questa festa pochi giorni fa, mentre leggevo un piccolo libro che racconta di due vecchie donne. Certo, il paese è differente, così come il periodo storico e le condizioni di vita. Però mi è servito per fare diverse riflessioni. Non voglio comunque influenzarvi. Mi limito a consigliarvi di leggere questo libro, indipendentemente dalla vostra età. 

“Due donne” di Velma Wallis, Ed. Tea Due

Questa storia è stata tramandata di generazione in generazione, fino a giungere alla madre della scrittrice. E’ un libro che fa riflettere, perché mostra come non ci siano limiti alle proprie capacità e come in ogni individuo vi siano incredibili risorse. La popolazione di cui scrive la Wallis appartiene alla tribù dei Gwich’in, che viveva nomade nella zona dove adesso si trovano Fort Yukon e Chalkyitsik, una delle undici tribù atabasche in Alaska.

Un’usanza tra le tribù nomadi del Nord, impone l’abbandono dei vecchi prima delle lunghe marce di trasferimento invernale. Quest’antica leggenda narra di due anziane eschimesi che, abbandonate perché considerate un peso per il gruppo, decisero di non lasciarsi morire e di lottare per la loro sopravvivenza. Giorno dopo giorno, combattendo contro il freddo, la fame e gli acciacchi dell’età, riscoprirono l’antica perizia nel fabbricare gli oggetti necessari alla vita in Alaska, furono capaci di costruirsi ripari per la notte e procacciarsi il cibo, grazie alla caccia e alla pesca. Giunte alla fine dell’inverno, ritrovarono la loro gente e diedero loro una grande lezione di vita e di cuore.

L’autrice, in questo piccolo romanzo, ci mostra com’era veramente la vita di questa popolazione, in lotta continua per l’esistenza, messa in pericolo da piccoli o grandi cambiamenti climatici. Velma Wallis, infatti, nata nel 1960 in una famiglia di tredici figli, fu educata in modo tradizionale nel villaggio atabasco di Fort Yukon, a pochi km dal circolo polare artico. Quando la scrittrice aveva tredici anni, morì suo padre e lei abbandonò la scuola per occuparsi dei fratelli più piccoli. Quando i fratelli crebbero, Velma si trasferì in una capanna di caccia a 18 km da Fort Yukon, dove visse da sola e dove divenne abilissima nell’arte della sopravvivenza. Di tanto in tanto andava a Fort Yukon, dove, su un computer preso in prestito da Annette Seimens, iniziò a scrivere la prima stesura di questo romanzo. Mandò quindi il manoscritto alla casa editrice Epicenter, ma questa era nata solo da un anno e non aveva i fondi necessari per pubblicarlo, pur ritenendolo meritevole. La fama del manoscritto comunque si diffuse, grazie ai proprietari della Epicenter, che si erano rivolti alle organizzazioni che avrebbero potuto patrocinare il progetto. Nessuno però accolse l’idea, perché la Wallis era sconosciuta e, oltre a questo, alcune persone pensavano che facesse sfigurare gli atabaski. Lael Morgan della Epicenter decise allora di aprire una sottoscrizione di fondi per la pubblicazione. Nacque così il fondo “amici di Velma Wallis”. Nel frattempo però, la casa editrice Epicenter diventò abbastanza importante per pubblicare il romanzo.

 “In questo particolare gruppo c’erano due vecchie che la tribù accudiva da molti anni. La più vecchia delle due si chiamava Ch’idzigyaak. Il nome dell’altra era Sa’. …. Ogni volta che il gruppo si accampava in un nuovo posto, il capo ordinava ai più giovani di preparare un riparo per le due vecchie e di portar loro legno e acqua. Le donne più giovani si tiravano dietro, da un accampamento all’altro, la roba delle due anziane e, da parte loro, le due vecchie tingevano le pelli degli animali per ricompensare chi le aiutava. Le due vecchie avevano in comune un tratto piuttosto insolito tra la gente dell’Artico. Non facevano che lamentarsi dei loro acciacchi, e portavano dei bastoni per mostrare a tutti la loro situazione. Cosa abbastanza sorprendente, gli altri sembravano non badarci, benché avessero insegnato loro fin dall’infanzia che la debolezza non era tollerata tra gli abitanti di quelle aspre terre. Nessuno rimbrottava le due donne, ed esse continuarono a spostarsi insieme al gruppo, fino ad un giorno fatale.”

Buona lettura! E buona riflessione ... Come sempre, sarò felice se vorrete condividere qui i vostri pensieri e le vostre considerazioni.   

 
 “Le storie sono doni che i vecchi fanno ai giovani”