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mercoledì 18 luglio 2018

"I paesaggi perduti. Romanzo di formazione di una scrittrice" - Joyce Carol Oates - Mondadori


Ho appena finito di leggere il memoir di Joyce Carol Oates. E’ stata una lettura che mi ha impegnata per diversi mesi. In realtà non ricordo bene quando l’ho comprato; mi ricordo solo di essere entrata in libreria, aver girato la testa verso uno scaffale e aver posato gli occhi su quella copertina: una bambina con un vestitino rosso a pois bianchi, con il sorriso timido, le mani graziosamente unite. E poi il titolo: “I paesaggi perduti. Romanzo di formazione di una scrittrice”. L’ho preso in mano per sfogliarlo e ho subito saputo che non sarei uscita dalla libreria senza averlo acquistato. Così, col fatto che si prestava bene a leggerlo un po’ alla volta, senza perdere il filo, il libro mi ha tenuto compagnia diversi mesi e ha visto avvicendarsi sul comodino molti altri titoli, venuti dopo di lui e ripartiti prima di lui. Alcuni libri devono stare con te per un po’: non richiedono fretta, ne’ tensione per essere divorati. Questo, almeno per me, è uno di quelli. Affermare che mi è piaciuto molto non gli renderebbe giustizia e del resto vi direbbe poco. E’ un libro intimo, malinconico e intenso, che svela la personalità dell’autrice, la mette a nudo. Inizia presentandoci la vita di Joyce bambina, immersa nell’America rurale degli anni quaranta; incontriamo gli amatissimi genitori, poi un singolare animale da compagnia, assistiamo alla nascita delle prime amicizie, ai racconti della vita quotidiana fatta di duro lavoro e semplici gioie. Via via, capitolo dopo capitolo, seguiamo Joyce nella sua crescita: da bambina a ragazza, poi a donna. Figlia, moglie, scrittrice, insegnante: a ogni aspetto della vita sono dedicate storie, ricordi, rievocazioni di sentimenti, il tutto reso ancora più emozionante dalle foto di famiglia. Quelle foto aggiungono molto al testo, il libro ne risulta arricchito: per chi legge è piacevole dare un volto ai personaggi di cui scrive la Oates. Ma c’è da sottolineare anche il loro potere “evocativo”: credo che, guardandole, a quei volti si sovrapporranno i volti della vostra famiglia e di coloro che amate o che avete amato. Leggere questo memoir significa tuffarsi in un’esperienza umana che non potrà non suscitarvi paragoni con la vostra vita, non potrà non far riaffiorare ricordi che rischiavano di sbiadire. Per questo, forse, credo che il libro sia da consigliare agli adulti.

 
“Eravamo poveri, credo, eppure non sembrava. In qualche modo ce la cavavamo bene.”

Fino all’età di dodici o tredici anni trascorrevo le mie ore più felici vagabondando per campi desolati, per boschi, e lungo gli argini del fiume che passava vicino alla fattoria della mia famiglia. Nessuno sapeva dove andassi. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto mi allontanassi.”

“La “biblioteca” della scuola consisteva in un paio di scaffali e fra i volumi c’era un dizionario Webster, che mi affascinava: un libro tutto fatto di parole! Un tesoro di segreti, sembrava a me, disponibile per chiunque volesse cercare.”

“Verso la fine di agosto, in previsione dell’inizio delle lezioni che sarebbero cominciate in settembre, dopo il Labor Day, andavo a piedi fino a scuola con la mia scatola nuova di matite e la gavetta per il pranzo, entrambi regali di nonna Blanche, e mi sedevo sul gradino di pietra dell’ingresso. Lo facevo per il piacere di starmene lì a sognare l’inizio delle lezioni: forse per il piacere di godermi la solitudine e il silenzio che, una volta cominciata la scuola, sarebbero diventati merce rara”

Joyce Carol Oates  

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