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martedì 21 marzo 2023

S’ha a dì d’andà? Vieni che ti racconto del Castello di Ferrano!

In viaggio verso il Castello

Oggi voglio raccontarvi una storia, di quelle che piacciono a me. Sono storie che parlano di impegno, passione, sacrifici, attese, tenacia. Tempo fa, per caso, su internet sono capitata sulla pagina del Castello di Ferrano (chi mi segue sa quanto io sia affascinata dai castelli) e ho deciso di visitarlo.

Il Castello di Ferrano

La visita risale ai primi di dicembre e avrei voluto parlarne prima, ma purtroppo tanti impegni si sono accavallati e sono arrivata a primavera! Beh, poco male, se deciderete di visitarlo, Madre Natura avrà colorato per voi una bellissima tela e immerso il Castello in un’atmosfera fiabesca. 

La torre sulla terrazza panoramica

Comincio col dire che il Castello è anche una fattoria, gestita dalla famiglia Bocci Benucci, e che la visita comprendeva anche un assaggio dei prodotti della loro azienda agricola. Le nostre guide sono state le sorelle Sara e Francesca.

Abbiamo iniziato gli assaggi con un bicchierino di olio (la prima frangitura), che la famiglia produce da oltre cento anni, da gustare con un croccante cavolfiore. Hanno scelto di produrre secondo la vecchia tradizione: raccolgono le olive a partire dalla metà di novembre, in modo da farle maturare sulle piante, e finiscono la raccolta a dicembre. Una volta raccolte, le olive vengono distese su canne di bambù per farle respirare e sono portate al frantoio solo successivamente. Durante la pandemia hanno avuto l’idea di lanciare una linea di prodotti dedicata ai membri della loro famiglia. Ecco quindi che nascono le olive di Zelinda (olive sotto sale, agrumi e peperoncino, che sono tenute a macerare almeno un mese). Zelinda, la nonna di Sara e Francesca, era una donna che ci teneva a prendersi cura personalmente degli olivi: partecipava alla potatura, alla raccolta a mano e alla preparazione delle olive. Abbiamo poi assaggiato le noci di Sara (noci tostate e salate), a lei dedicate perché, quando nacque, la sua famiglia piantò un noce; la cotognata di Livia (donna straordinaria di cui vi parlerò più avanti) fatta solo con mele, zucchero e limone, senza usare nessun addensante tranne che il tempo (la cotognata viene girata ogni giorno nella carta gialla per tre mesi, fino a farle raggiungere la consistenza desiderata); i liquori del nonno Gino, marroni e more di gelso sotto grappa, fino ad arrivare al nocino di Fabrizio (sapevate che il nocino si può preparare solo il 24 giugno?). 

Finito di assaggiare tutte queste prelibatezze, è iniziata la visita di questo Castello neogotico, piuttosto insolito per l’Italia di quel periodo, e il racconto avventuroso delle vicende che hanno fatto sì che il Castello passasse agli attuali proprietari. Le prime sale che abbiamo visitato risalgono al 1800, le ultime al 1200. 

In origine il Castello era di proprietà di una nobile famiglia di marchesi francesi: ecco spiegato il soffitto blu con la ginestra francese. Poi però i marchesi caddero in rovina e il Castello fu acquistato dalla famiglia Bonelli. 

Il soffitto con gli stemmi dei nobili francesi

Dopo qualche tempo, però, il duca Bonelli perse il Castello al gioco e lo vinse il bisnonno Bocci. 

Lo stemma dei Bonelli

Chi erano dunque i Bocci? Era una famiglia originaria di Cesena, che si era trasferita a Soci, in Casentino, per aprire un lanificio. Ancora oggi ci sono delle strade intitolate sia a  Giuseppe che ad Adriano Bocci, come testimonianza del notevole progresso economico che la famiglia portò al paese grazie al lanificio. Pensate che a quell’epoca davano lavoro a circa 500 persone e, dato che volevano garantire ai loro dipendenti  un’ottima qualità di vita, fecero costruire a Soci, nei pressi del lanificio, un asilo destinato ai figli dei dipendenti, in modo che i genitori potessero andare al lavoro sereni. Fecero anche costruire delle case destinate ai lavoratori che non potevano permettersi di pagare un affitto intero: ogni mese i dipendenti potevano pagare parte dell’affitto facendoselo decurtare dallo stipendio o facendo straordinari. Poiché non tutti potevano vivere a Soci, e molti abitavano invece nel paese vicino di Partina, Giuseppe e Sisto Bocci piantarono numerosi alberi lungo la strada che collegava i due paesi (a quel tempo i lavoratori la percorrevano a piedi) per far sì che i dipendenti, lungo il cammino, potessero essere riparati dal sole d’estate e dalla neve in inverno.   

Giuseppe ebbe due figli: Sisto ed Ettore. Sisto ebbe l’incarico di girare il mondo per scoprire i segreti della tessitura (e infatti in Belgio scoprì una pianta perfetta per pettinare la lana e realizzare il tipico “panno del casentino”), mentre ad Ettore fu chiesto di portare avanti il cognome dei Bocci. Ettore ebbe due figli, Adriano e Giuseppe. Purtroppo Adriano morì in guerra e Giuseppe non riuscì ad avere figli maschi: la sua unica figlia fu Livia (eccola qui la Livia della cotognata!). Purtroppo i genitori svilupparono un attaccamento morboso verso la bambina e, una volta cresciuta, le impedirono di sposarsi e farsi una famiglia. Livia rimase quindi a vivere nel Castello con i genitori. Essendo più o meno coetanea di Gino e Zelinda, una coppia di sposi che prestava servizio per la fattoria e che viveva nei pressi del castello, Livia instaurò con loro un rapporto di amicizia e partecipò alla gioia della coppia quando nel 1956 nacque il loro primo figlio, Fabrizio. In lei, pian piano, si fece strada l’idea di prendersi cura del bambino mentre i genitori erano al lavoro. Da lì in poi, si costituì, di fatto, una sorta di famiglia allargata. I genitori potevano lavorare tranquillamente sapendo che Fabrizio era in buone mani e Livia poteva realizzare il suo desiderio di prendersi cura di un bambino. Il padre di Livia morì quando lei aveva trentaquattro anni e da quel momento, sentendosi finalmente libera, si dedicò a viaggiare,  facendo però sempre ritorno al Castello. A metà degli anni ’80, col consenso dei genitori naturali, Livia adottò Fabrizio, per lasciargli il Castello e la sua casa.   

 

Livia al Castello

Alla fine della visita, Sara ci ha salutato con una sua personale riflessione: la storia della sua famiglia le ha insegnato che nessuno ha il diritto di decidere della nostra vita e che ciascuno di noi “ha il suo miglio”: la strada che percorriamo nella vita non è uguale per tutti, né per tempistiche, né per obiettivi. Personalmente la sua riflessione mi ha commosso, ma non voglio aggiungere altro, perché sarete voi stessi a parlarne con lei, se deciderete di visitare il castello. Oltre alle visite, la famiglia propone anche cerimonie e esperienze di soggiorno. Potete affittare una parte del castello: cucina, salotto, camera e bagno e fare l’esperienza di “entrare in famiglia”. Perché da quando hanno ereditato il Castello, hanno sempre pensato di utilizzarlo come un luogo da condividere per conoscere nuove culture e persone. 

Potevo non soffermarmi a guardare la libreria? :-)


“Intelligente è chi non dimentica di essere ospite della terra”: dove troverete nel castello questa scritta?  Sara ci ha raccontato, commentando questa frase, che quando il nonno Gino andava a raccogliere le olive e la frutta, lasciava sempre una quota parte sull’albero, perché anche gli uccelli potessero mangiare.


Se siete amanti del trekking, la via di Francesco passa proprio davanti al Castello: chiedete a Sara una cartina dei sentieri!

Parcheggio: poco prima del castello (circa 100 metri) c’è un piccolo spazio per lasciare l’auto. 



Infine vi lascio con qualche idea golosa suggerita dalle sorelle Bocci:

crostini con cotognata, noci e gorgonzola

crostini con cavolo nero e cotognata

crostini con cotognata e pecorino sardo o romano

le immancabili noci coi fichi secchi

ricotta montata e more di gelso


http://www.fattoriadiferrano.com/


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