Roma 1822. Era il giorno di Natale. Ma l'uomo che camminava lungo via dei Calcarari, vicino a Campo dei Fiori, non sembrava curarsene. Procedeva curvo e assorto facendosi piccolo dentro un pastrano color ruggine foderato di pelliccia, i capelli neri spettinati dal vento, le scarpe leggere sui sampietrini che lo facevano traballare. (...) Eccolo fermo, di fronte a una signorinella pallida e secca che sembrava morire di freddo dentro un vestitino dalla vita stretta e la pettorina traforata. Con le due braccia magrissime si tirava lo scialle rattoppato sulle spalle e sorrideva invitante ai passanti. Vieni con me? dicevano le sue labbra carnosette tinte di rosso. Labbra invitanti, che pure venivano contraddette da due grandi occhi anneriti col turacciolo affumicato che invece parevano dire: vai all'inferno tu e tutti quelli che non soffrono il freddo come me!
Lo straniero si era fermato dall'altra parte della strada e non smetteva di fissarla con occhi incupiti dalla pietà. Quella bambina che si vendeva in strada e mostrava, sotto i vestiti leggeri, le ossa dello sterno di un corpo malnutrito, pareva averlo colpito a morte. I due ragazzini si misero a ridere. Sembrava un pesce sul banco della pescheria che spalanca la bocca per respirare, pensò il più grande dando di gomito al più piccolo. E tutti e due risero di lui e di lei. Il piccolo si chinò, raccolse un sassolino e lo tirò in direzione della prostituta. Lei si scansò svelta e cacciò fuori la lingua ai due sfacciati. Lo straniero, infuriato, afferrò un'altra pietra e la scagliò verso i due ragazzini che presero a correre ridendo.
Lo stranierò cavò fuori dalla tasca una moneta d'argento e si avviò verso la parte opposta della strada. Si avvicinò alla ragazza, le sollevò la piccola mano bianca e sudicia e le sistemò nel palmo la moneta. La ragazzina chiuse rapida le dita sulla moneta e gli fece un cenno con la testa, come a dire: "Seguimi!" Ma lo straniero non la seguì. Le lanciò un ultimo sguardo doloroso e riprese rapido il cammino, tallonato di lontano dai due ragazzini che, dopo essere scappati e nascosti dietro l'angolo, erano tornati a vedere come finiva lo spettacolo.
Di fronte a Palazzo Antici, i due videro il giovane straniero che tirava fuori dalla tasca del pastrano una grossa chiave di ferro battuto e apriva il pesante portone, tanto da potervi sgusciare dentro frettoloso. I due fratelli rimasero a bocca aperta. Quindi non era un povero pazzo, ma un vero signore, che abitava in un palazzo fra i più belli e ricchi di Roma!
Solo molti anni dopo i due ragazzi seppero che quello straniero che avevano deriso si chiamava Giacomo Leopardi. (...) quell'ometto sgraziato, dalle gambe sottili e la testa grossa, dal fare dolente e goffo, aveva scritto le più belle poesie che l'Italia dell'Ottocento avesse conosciuto.
"Natale a Roma", di Dacia Maraini
Se volete leggere la storia completa, la trovate nel libro "Le rose di Natale. Scrittrici italiane raccontano", Edizioni Interlinea.
Grazie alla mia instancabile amica Marilena, che mi ha consigliato questo libro.

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